Nicolosi, 16.12.2013 – L’Etna, riconosciuto da tutto il mondo come uno dei vulcani “più emblematici e attivi del mondo”.

Su di esso, o forse è meglio dire sulla “Vulcanessa” vivono migliaia di etnicoli che ne ammirano bellezza, ne studiano i comportamenti, gli sbalzi d’umore e vivono paure e preoccupazioni durante gli eventi vulcanici più potenti e straordinariamente unici.

Esistono due categorie di etnicoli: la prima è quella degli studiosi delle scienze della Terra (geologi, vulcanologi, sismologi, etc) che osservano quotidianamente il vulcano, anche quando la quasi totalità della popolazione nemmeno si accorge che “Lei è viva”, che frequentano i suoi fianchi 365 giorni all’anno, che non osano sfidarla ma anzi portano rispetto verso il suo carattere spesso turbolento e scontroso. La seconda categoria degli etnicoli è rappresentata dai tantissimi appassionati della “muntagna” che durante gli spettacoli del vulcano si riversano sulle pendici e spesso anche nelle zone sommitali, anche quando la legge ne vieta la fruizione. Durante le ultime fasi eruttive del 2013, tantissime sono state le testimonianze fotografiche e la documentazione non ufficiale pubblicate sui social networks spesso riprese dai media che giustamente fanno il proprio mestiere riportando “la notizia”, soprattutto se quest’ultima è straordinaria o meglio ancora di prima mano.

Ecco che spesso, purtroppo, in un articolo di stampa o in un servizio televisivo si trovano le dichiarazioni della prima e della seconda categoria degli etnicoli senza sfumature e senza la necessaria prudenza tra i due approcci verso la problematica del rischio vulcanico. Se a queste notizie si aggiunge il fatto che la popolazione non ha ancora la “consapevolezza” dei rischi naturali e soprattutto non ha la minima conoscenza dei comportamenti da attuare durante una fase eruttiva che può trasformarsi in una criticità, risulta assai evidente come spesso si verifichino comportamenti incoscienti e non codificati sul territorio, paure e preoccupazioni non supportate da informazioni scientifiche “ufficiali” che solo chi ha l’autorità (Sindaci, Protezione Civile, INGV) può diramare e che i media dovrebbero filtrare per offrire un serio servizio pubblico che possa supplire alla scarsa attenzione da parte delle pubbliche amministrazioni verso l’informazione ai cittadini ed alla prevenzione dei rischi naturali.

Ritengo necessario ed ormai non più procrastinabile una crescita culturale di “tutti” noi etnicoli nell’affrontare il tema del rischio vulcanico con maggiore umiltà e consapevolezza, auspicando al più presto una gestione del rischio in fase di prevenzione, spolverando ed aggiornando i numerosi piani di protezione civile comunali con l’attuazione degli stessi attraverso periodiche esercitazioni sia nelle scuole per i nostri figli che nelle nostre piazze, rinunciando magari a qualche sagra paesana per garantirci un futuro più sicuro e non affidarci, come sempre si è fatto, alla provvidenza.

Sono consapevole che “Lei” dall’alto ci osserva criticamente ma che con la sua saggia storia millenaria ci possa condurre verso una futura convivenza sostenibile che potrà concretizzarsi solo diventando, noi etnicoli, una “comunità resiliente”, ovvero capace non solo di resistere ad un evento perturbante per la collettività ma soprattutto essere preparati e fare prevenzione dei rischi geologici.

Carlo Cassaniti

Geologo e Docente a contratto di Normativa Geologica, Università di Catania

Il vulcano e gli etnicoli: cultura della prevenzione in una comunità resiliente.